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FRANCESCO PETRARCA

Sonetti

63 i 1304-†1374
S
OLO e pensoso i più deserti campi

Vo misurando a passi tardi e lenti;
               E gli occhi porto, per fuggire, intenti,
               4Ove vestigio uman l’arena stampi.
          Altro schermo non trovo che mi scampi
               Dal manifesto accorger de le genti;
               Perchè negli atti d’allegrezza spenti
               8Di fuor si legge com’io dentro avvampi:
          Sì ch’io mi credo omai che monti e piagge
               E fiumi e selve sappian di che tempre
               11Sia la mia vita, ch’è celata altrui.
          Ma pur sì aspre vie nè sì selvagge
               Cercar non so, ch’Amor non venga sempre
               14Ragionando con meco, ed io con lui.


64 ii
E
RANO i capei d’oro a l’aura sparsi,

Che ’n mille dolci nodi gli avvolgea;
               E ’l vago lume oltra misura ardea
               4Di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi:
          E ’l viso di pietosi color farsi,
               Non so se vero o falso, mi parea:
               I’ che l’esca amorosa al petto avea,
               8Qual meraviglia se di subit’ arsi?
          Non era l’andar suo cosa mortale,
               Ma d’angelica forma; e le parole
               11Sonavan altro che pur voce umana.
          Uno spirto celeste, un vivo sole
               Fu quel ch’i’ vidi; e se non fosse or tale,
               14Piaga per allentar d’arco non sana.

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