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l | l’autore ai lettori. |
importi alla civiltà nostra il purgare e ristorar la favella; e come non ogni tempo sia disposto egualmente a trovar belle forme di significare il pensiere; e come converrebbesi, ad ogni modo, per rifare la lingua, rifare i concetti e cavarli dal nostro fondo, laddove coloro di cui discorro vivono foraggiando e predando in terra straniera. D’altra parte, a cui non diventa visibile che tale perseveranza degli scrittori italiani a controvertere sulla lingua sia un fatto notabilissimo non creato certo nè mantenuto dai soli pedanti, ma da cagioni profonde e incessabili? Laonde, coloro che non le avvertono e non le intendono, mal si arrogano l’autorità di sgroppare simili nodi, e ridere e berteggiare de’ magri e vuoti grammaticuzzi. Ingrata e sconoscente generazione è poi da chiamare cotesta dei presuntuosi derisori di tali studj. Conciossiachè quando non fossero state le fatiche del Cesari, del Giordani, del Perticari e di altri insigni e benemeriti curatori e riparatori di nostra lingua, noi tutti e que’ prosuntuosi ancor di vantaggio useremmo uno scrivere così sciatto e inforestierato da disgradarne la prosa di Melchiorre Gioja e di Pietro Verri.
Ma come ciò sia, sempre quanto a me ò guardato nella correzione e nella proprietà della lingua, sebbene la fortuna m’abbia in questo accidente più che in altra cosa operato contro; perchè, oltre al fornirmi di scarsa memoria a modo che io non è mai potuto ritenere quattordici versi a mente, ella m’à fatto vivere sproveduto d’ogni sorta libri, e per sedici anni e i migliori della gioventù e della virilità, m’à forzato a conversar tutto giorno con gli stranieri e tener tra mano gli autori loro; nè mai mi è stato lecito di rivisitar la Toscana, e rimondare lo stile con la schiettezza, l’efficacia, il garbo e la spontaneità e scioltezza della lingua parlata. Queste cose racconto non perchè valgano a far buona scusa agli errori