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l’autore ai lettori. | xli |
Per tutto ciò, io non mi sono potuto rattenere uscendo più d’una volta dalla lettura dell’insuperabile poemetto di non esclamare in fra me:
Cedite, romani scriptores, cedite graii; |
Salvo che, io interrogava pure me stesso e diceva: se quegli amori fossero meglio individuati, e il contrapposto tra l’esser di amante e l’esser di principe lasciasse scorgersi in tutte le sue varietà e peripezie, trarrebbesene maggiore bellezza o minore? Non so, rispondeva io; ma certo, nessun concetto più alto e insieme più gentile d’un amore profondo e casto per bellissima e purissima creatura, il quale s’intrecci, a così dire, tra le imprese magnanime e le dure prove e gloriose d’un giovine re, come in una ghirlanda d’alloro o di quercia un sottil rametto di rose o di mirto, o come quella corona di cui Virgilio diceva:
Atque hanc sine tempora circum |
Per fermo, da tale fonte deriva principalmente la somma bellezza poetica della Cavalleria, e per ciò stesso l’incontro di Ettore con Andromaca vicino alle porte scee rimarrà in eterno un capolavoro dell’arte; e trarrà le lacrime da tutti gli occhj per insino a tanto che la coscienza umana tributerà onore e commiserazione al valore sfortunato e alle non meritate sciagure del santo amore maritale.
Io mi son dunque provato di dar rilievo a questi pensieri e a queste non volgari intenzioni dell’arte nell’Idillio che à nome Manfredi, e tutto il quale vennemi suggerito dal Cantico dei Cantici, da cui pure attinsi una maniera arditissima di metaforeggiare, parendomi che la profondità dell’affetto assai lo comporti, ed anche la natura