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xxviii l’autore ai lettori.


mio Idillio. Tu vi leggi descritta per prima cosa la spiaggia incantevole di Messina, quale si offerse a’ miei sguardi nell’estate del 1834. Nè mi si faceva quasi credibile che que’ luoghi sovranamente ameni e beati non fossero in ciascuna lor parte pieni e ricolmi di animazione e di vita; e qualcosa di sovrumano e divino non penetrasse in tutta quell’aria nè in quella luce candida e pura non balenasse. Quindi, la mia fantasia non potendo più popolarli di Egipani, di Silvani e di Fauni, deità morte e sepolte da lunghi secoli, andava figurando Genj ed angioli visitatori invisibili della terra e arcanamente mescolati agli uomini ed intromessi alle opere ed alle faccende di villa, uomini ed opere quali noi le scorgiamo con gli occhi proprj e quali son fatte da’ nostri tempi e costumi. Così la poesia campestre torna alla realità delle cose e alle opinioni moderne e comuni, e quanto si fa più vera altrettanto sembra aquistare di novità. Certo è poi che la congiunzione e l’intreccio dei due mondi mortale e immortale, terreno e celeste, spirituale e corporeo, sempre è stata, per avventura, la fonte più larga e ubertosa del poetare.

LA SCAMPAGNATA.

Ognuno confessa od almeno sente nell’animo suo che le minime faccendòle di casa, le domestiche ricreazioni, i colloquj più famigliari, una cenetta fra amici, una giterella in villa, qualora l’affetto e l’urbanità le condisca e la gentilezza vera dell’animo le vada ornando di certa grazia festiva e spontanea, sono subbietto perpetuo e infinitamente variabile di poesia. Oh perchè dunque gl’Italiani vi si provarono così di rado e, per quel che io sappia, con successo poco fortunato? ed anzi stimarono conveniente a tali materie applicare