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l’autore ai lettori. |
xxvii |
Delto balze materne, o con te greggi
Mista la tigre ai conspeti ovili,
Nė guidasse per gioco i lupi al fonte
11 pastorel: ma di sup fato ignarą
E degli affanni suoi, vôta d’affanno
Visse l’umana stirpe: alle secrete
Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l’ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.
Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l’intima rupe, onde ministra
L’irrigua valle, inopinato il giorno
Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l’invitto
Nostro furor; le violate genti
Al peregrino affanno, agl’ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l’imo sole incalza.
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Dall’Oriente si travasò in Grecia e nel Lazio la fede a molte e diverse generazioni di Genj e di Dèmoni. Nel medio evo, lasciando stare quello che ne pensarono i Cabalisti, l’esistenza di esseri spirituali tramezzanti tra l’Uomo e l’Angiolo parve degna di credenza a parecchi filosofi e segnatamente ai platonici; e le ragioni loro vennero con grazia ed acume infinito esposte dal Tasso nel Dialogo Il Messaggero. Su tale opinione adunque nè strana nè eterodossa è fondata la picciola macchina del