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xxvi l’autore ai lettori.


     E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiføri gioghi equoreo flutto
Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima
Dall’äer cieco da’ natanti poggi
Segno arrecò d’instäurata spene
La candida colomba e dell’antiche
Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo,
L’atro polo di vaga iri dipinse.
Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empj
Studj rinnova e le seguaci ambasco
La riparata gente. Agl’inacessi
Regni del mar vendicatore illude
Profana destra, e la sciagura e il pianto
A novi liti e nove stelle insegna.
     Or te, padre de’ pii, te giusto e forte
E di tuo seme i generosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedente, oscuro, in sul meriggio, all’ombra
Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tub nutrici e sedi,
Te de’ celesti peregrini occulte
Bear l’eteres menti; e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera
Presso al rustico pozzo e nella ɖolca
Di pastori e di lieti ozj frequente
Aranitica valle, amor ti punse
Della vezzosa Labaníde: invitto
Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanţi
E di servaggio all’odiata soma
Volenteroso il prode animo addisse.
     Fu certo, fu (nè d’error vano e d’embra
L’aonio canto e della fama il grido
Pasce l’avida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco