Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
l’autore ai lettori. | xxiii |
tengo, sembrano ruinar nel paralogismo ambedue i supposti e d’una civiltà rivelata, e d’uno stato selvaggio e quasi ferino che perviene bel bello alla civiltà. Per fermo, madre della civiltà è la scienza; e questa, ancora che rivelata, à gran bisogno d’essere intesa; e il bene intenderla ed applicarla porta molta virtù e molto esercizio anteriore d’intelletto e di sentimento. Per simile, non si scorge in veruna guisa come dallo stato ferino esca a poco per volta la umanità e la scienza civile; e chi lo à pensato e descritto così per minuto non penetrò del sicuro nell’intimo del proprio subbietto.
Ma ponendo in disparte la metafisica, certo è che la vita patriarcale à durato per molti secoli fra molte nazioni, e che la Bibbia ci è fedele e mirabile raccontatrice della storia e costumi di quella vita maravigliosa, e ci pone sott’occhio una specie di vasta epopea così naturale ed ingenua come sfolgorante di bellezza poetica non superabile. Dalla quale epopea vengono poi insegnate agli uomini parecchie verità fecondissime e consolantissime; e questa infra l’altre, che la barbarie mai non è stata naturale agli uomini e mai sopra loro non à pesato come necessità di destino. Laondé, dagli antichi fu immaginato che il vivere selvaggio e brutale di molte disperse tribù fosse tristo effetto di peccato e di corruzione. Del pari, ci è insegnato da quella prisca epopea, che la religione primitiva non immedesimò il fattore con la sua fattura (traviamento posteriore della ragione speculativa appo gl’indiani) e non si tinse di brutte e sanguinose superstizioni.
Con tali concetti io presi a dettare il sunnominato Idillio, dove la casta e semplice religione e il sentire e l’immaginare vivissimo de’ primi uomini è significato e narrato sotto la figura dell’amicizia e conversazione della terra col cielo, e posto a riscontro ed a paragone con lo