esclusa per al tutto da quel genere di composizione. Ma di simili colpe va esente, a dir vero, pressochè tutta la letteratura moderna italiana. Vediamo se io posso di altre censure purgarmi con l’agevolezza medesima. Affermano gli oltramontani che poco i greci e i latini e pochissimo gl’italiani possiedono e godono il sentimento della natura campestre, la quale, a detta di tali censori, consiste unicamente per noi nella vaghezza estrinseca delle forme. Quindi gl’italiani riuscire descrittori ottimi ed eleganti, ma solo a modo de’ paesisti con la trasparenza de’ colori, la varietà dei prospetti e la sfumatura delicatissima delle tinte. Ai soli teutonici dette il Cielo di sentire e d’intendere l’anima universale e di confabulare alla domestica con la gran madre delle cose. Da tale profonda disposizione delle schiatte germaniche è pur provenuto, aggiungono i critici di colà, che il panteismo à gradito, fuormodo, al cuore e alla mente dei moderni tedeschi, nè altro genere di speculativa e di metafisica à informato la poesia di Goethe e della sua scuola. E cotesto panteismo appunto proceduto di Germania ferveva nell’intelletto de’ verseggiatori francesi, quand’io capitai fra loro in sul finire del 1834. Darò un cenno di quella maniera di poetare. Credi tu, per esempio, che un bello e grande rovere sia specioso e mirabile solamente per la sua vigorosa e centenaria vegetazione, per la frescura che godi sotto i suoi rami, pel vario e piacevole loro incurvarsi e distendersi, pel tremolar delle cime fronzute e glandifere, e per simile altro aspetto e accidente? Ovvero, stimi che sia bello e attrattivo altresì per le memorie che va destando e le immagini che a lui si connettono? Queste cose tornavano un dì sufficienti alla bassa e povera fantasia de’ vecchj bucolici. Ma ora, se tu poni mente al signor De la Prade di Lione, la quercia è un pezzo di Dio nè più nè meno. Le sue ra-