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x | l’autore ai lettori. |
approssima alla concitazione del ditirambo e del furor sibillino. Cotesta, a parlar con Orazio, amabilis insania è specie difficilissima di poesia e procede sempre con gran pericolo di dare nel tronfio, nello esagerato e nello smanioso.
INNO A SAN MICHELE.
Non negherò al lettore che io mi compiacqui pur molto di questo componimento, in cui proponevami di far manifesto quanto la poesia cristiana valga ad emulare quella de’ greci persino nella grazia, nella varietà e nella bellezza figurativa delle lor favole, oltrepassandoli poi senza paragone possibile nella profondità del concetto e del sentimento, e per certa smisurata grandezza d’immagini e di simboli a noi provenuta dall’Oriente. Il che apparirà vero ad ognuno che ponga il nostro Inno in ragguaglio con quello celebrato e antichissimo ad Apollo Delio ricordato da Tucidide, ovvero con la Gigantea d’Esiodo, episodio famoso del suo poema sullo scudo d’Achille. L’allegoria poi del componimento nostro torna sempre una e sempre agevole ad essere intesa, e vi si dilata e gira dentro dal primo all’ultimo verso. Griderà forse taluno alla profanità per quel mio collocare in cielo le spose degli angioli e per avere descritto i loro arcani maritaggi. Ma quando voglia discretamente considerarsi in qual modo sieno significati da me l’indole, le cagioni e gli effetti di quelle nozze, ei non si penerà a confessare che i concetti e le immagini vi sono tutte purissime e sante; e che la maschiezza e la femminezza simboleggiano unicamente la simpatia misteriosa e spirituale di due esseri intelligenti e liberi, l’uno nato per compimento dell’altro in quel modo che ciò venne espresso altresì dai greci con la favola dell’Androgeo. Ma come ciò sia, l’angiolo Michele