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l’autore ai lettori. | v |
ch’io non disperava di circondare di luce omerica persino le monachelle e le penitenti nascoste e chiuse negli eremi; nè da me era fuggito qualunque soggetto più arido e, direi quasi, mortificato della mistica e dell’ascetica; avvisando a quell’arte medesima con che il divino Coreggio trasmutava la sua Maddalena in una delle tre fanciulle ch’ebbero altari ed incensi nella picciola Orcomeno.
Letti quegl’Inni da alcuno intendente, per questo propriamente li censurò che i personaggi ivi verseggiati non erano Sante e Santi cristiani, ma Iddii e Dee simili a Diana, a Vesta, ad Apollo. La stimai una grossa iperbole: tuttavolta, io ci vidi dentro qualche parte di vero, e noso scusarmene interamente nemmanco oggi; e s’io dicessi: o felix culpa, sentirei di commettere una profanità.
INNO A SANTA SOFIA.
La poesia greça e latina è, scrive l’Hegel, esteriore e plastica; in quel cambio, la cristiana è interiore e sostanziale, perchè fondasi più che in altro nel sentimento; e però in lei debbesi riconoscere un incremento di perfezione e un progresso rilevato sopra l’antica. Tutto ciò è detto per figura d’amplificazione. Imperocchè un sentimento delicatissimo già scaldava molte pagine di Virgilio e di Albo Tibullo. E d’altro lato, il sol sentimento sfornito di forme e d’immagini, porge materia all’arte, ma non è l’arte; e il progredir vero di questa si effettua per la unità compiuta di entrambo i termini. E quando il sentimento solo bastasse, quelle tavole, o Giorgio Hegel, de’ tuo’ vecchj dipintori tedeschi o fiamminghi, con que’ sparuti visaggi, con quelle vite magre e storte, con quelle gambe sbilenche, dovrebbero venir preferite alle tele del Sanzio e di Michelangelo.
Io volli, impertanto, nel 1836 provarmi a introdurre