la fama degl’Inni Sacri di Alessandro Manzoni. A me purė piacevano sopramodo, e in niuna letteratura cristiana giudico vi sia qualcosa che superi di bellezza e di affetto l’inno suo per la Pentecoste o l’altro al nome di Maria. Ma quanto lontani da lui i poveri immitatori! e mi riusciva strano che ei si buscassero tuttavolta una qualche specie di celebrità. Nacquemi allora il concetto di provar di correre un’altra via; e proposimi un genere di poetare in cui diventava naturale ed agevole il temperare insieme la Bibbia ed Omero; essendo che insino dalla primissima giovinezza nessun libro m’avea commosso l’animo e ricreato la fantasia così vivamente e con efficacia e perduranza maggiore quanto il Vecchio Testamento e l’Iliade. D’altro lato, a me pareva e par tuttavia che a rispetto della poesia religiosa il colmo della bellezza e la perfezione suprema dell’arte consista in unire ed inviscerare le concezioni e i sentimenti cristiani con tutta la leggiadria e splendenza delle forme greche. E in quel giudizioso contemperamento dei due termini consisteva per appunto l’arduo e il nuovo del genere da me tratto fuori. Perocchè, quanto al mescolare abilmente la lirica all’epica e attingere le narrazioni alle leggende cristiane in quel modo che gl’innografi greci le attingevano alle pagane, la cosa era più volte stata pensata ed eseguita tra noi, come può vedersi nel Vida per lo latino e nel Chiabrera pel nostro volgare. Ma scrivere inni cristiani con tale ornamento e copia d’immagini e con tale vaghezza e bellezza figurativa o plastica (come la chiamano gli Alemanni) da farli sembrare una quasi composizione d’Omero o di Callimaco, era, per quel che io sappia, tentamento nuovo, e pareami non vi essere al tutto mal riuscito. Anzi, io poneva tanto pregio nei dilicati fiori dell’eleganza, e più ancora nel saper cogliere la forma ideale delle cose e ciò che vi si può sempre scoprire di grande e di nobile,