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paga di stringerlo, alza gli occhi per riguardarlo, e lo guarda con l’ansietà di quell’amore sì naturale in una Greca nutrice; che vice-madre con ben dovuto nome nella Grecia veniva chiamata non solo quella benemerita donna che di sè crescea il figlio ed integra lasciava la beltà della madre, ma quella pure che, non so se con eguale o maggiore benemerenza, vegliava sollecita ed attenta con la madre, o con la nutrice, onde allontanare da quella inferma e misera età i pericoli che la circondano. Telemaco, mentre abbandona il braccio destro alla buona Euriclea, stende con vivacità l’altro verso la madre esprimendole e la gioja che aveva di rivederla, e quasi rassicurar volendola che più non temesse, che non lontano stava il desiato suo sposo. Una giovinetta semplicissimamente vestita, e di candida semplicitade adorna il volto, sta dietro al figliuolo d’Ulisse, e non veduta nè da lui, nè da gli altri, inchinandosi alquanto, gli bacia il lembo della veste. Essa esprime nella sua divota attitudine la bella spontaneità di quell’atto segreto, non consigliato nè dalla speranza, nè dal timore. Omaggio purissimo, altrettanto dolce per chi l’ottiene, quanto difficile ad ottenersi.