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tutto interroga in essa, tutto richiede d’Ulisse. Quantunque fosse Penelope amorosissima madre, non meno che sposa affettuosissima, Canova, indagatore profondo ed attento di tutte le affezioni del cuore e delle tortuose sue pieghe, non esitò punto a rappresentarcela più inquieta per l’assenza dell’uno, che lieta pel ritorno dell’altro. La presenza medesima di Telemaco la rassicura. Cedono alla sua vista le amorose sue sollecitudini pel figlio, e tutte si rivolgono alla mancanza del troppo necessario e troppo sospirato suo sposo. Il ritorno di Telemaco, che s’era posto in viaggio espressamente per andare in traccia del padre, le riesce tanto più amaro, quanto le toglie l’ultimo e caro bene, la dolce speranza che pure avea che ei potesse rinvenirlo. E quante volte non abbiamo sentito in noi stessi, che il pericolo, o la perdita di un oggetto assai caro ci fa provare una certa apparente sì, ma assoluta indifferenza per tutti gli altri oggetti che ci circondano, e che ci sono pur tuttavia forse più cari di quello medesimo, che tutta sembra occupare in quel punto l’anima nostra! Telemaco, entrato anch’egli in quell’istante nella sala, e lasciata l’asta che aveva in mano alla porta, corre incontro alla madre; se non che viene trattenuto da Euriclea, che nella confusione del piacere, e nel trasporto della gioja volendogli baciare la mano, con bell’errore gli bacia avidamente il braccio che sostiene con ambe le mani. Essa, quasi non