della danza che Canova ci rappresenta. Occupano i due giovinetti il mezzo del bassorilievo, e stanno nel momento appunto in cui, spiccato un leggerissimo salto, si sostengono tuttavia per l’aria. La sveltezza dei loro corpi, la grazia che ne accompagna le molli inflessioni, l’intreccio mirabile dei piedi e delle braccia, e persino un leggerissimo velo che tengono reciprocamente in mano, tutto concorre a rendere questo gruppo uno de’ più aggradevoli a vedersi. A sinistra di chi osserva sta raccolto numeroso concorso di spettatori. Donne, uomini, putti, tutti con bella diversità atteggiati, dimostrano nella varia espressione della eloquente fisionomia chi l’ammirazione e la gioja, e chi l’amarezza di non poter mai giungere a tanta eccellenza. Siede fra loro il cieco Demodoco, che, quand’anche non si vedessero gli estinti occhi suoi, perfettamente cieco t’apparirebbe dal movimento della testa e di tutta la persona. Col suono della cetra egli accompagna la danza; e non distratto nè dalla danza medesima, nè dai circostanti oggetti, s’abbandona a tutta l’estasi beata del diletto che da quel suono gli deriva. Attore anch’egli principale in quello spettacolo, confonde o divide coi figliuoli del Re l’applauso che d’ogni intorno gli suona; e ben lontano dall’amareggiare con la sua trista presenza, consola anzi e rallegra, insegnando che sino nel più misero stato a cui l’avversa sorte condannar possa un