gruppo, mestissime lo riguardano; e gli Amori in mille guise atteggiati di disperazione e di dolore gli stanno intorno. Quale gli bacia la morbida mano, quale si straccia i crini, e quale amaramente piange. Una folla di questi amabili fanciulletti, figli dell’Albano, e di Canova, precedono, e seguono Venere nel suo corso. Venere, sciolte le chiome al vento, vestita di un leggerissimo velo, che nuda le lascia una parte del seno e tutto il braccio sinistro, discende precipitosamente dal Cielo, aperte tenendo le braccia in atto di gran sorpresa e di grave dolore. L’aria, compressa dalla veemenza del volo, resiste al suo bel corpo con forza, e respingendole indietro le vesti e premendole, tutte le celesti sue forme disegnando discuopre. E quali forme! quai contorni puri e soavi! quale espressione di Paradiso! e come quasi di veder sembra i palpiti del suo cuore! Lungi dal corpo amato, e da quello torcendo mestamente lo sguardo, sta Cupido appoggiato ad Imeneo, e questi ad una face, che quasi disutile ormai tiene rovesciata a terra. I cani, gli stessi cani, hanno qui vita e pensiero! Piange un di loro ai piedi dell’estinto padrone, e pare che baciarglieli voglia; l’altro guarda Venere che arriva, e le addita con quasi umano senso l’estinto suo amico. Vedi, par che le dica quel cane pietoso, vedi grave sciagura che ci è accaduta! L’invenzione, la composizione, l’esecuzione, il moto, il frastuono, tutto è mirabile in