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la fortuna di un libro |
filosofia, obbedendo all’argutezza con che egli penetrava nelle più piccole cose e argomentava per la verità. E distintamente suo appare anche il modo come sono stati raccolti i trenta caratteri di difetti tutti simili tra loro e tutti derivanti da mancanza di tatto, anziché da volere corrotto o male indirizzato.
I vizi considerati da Teofrasto sono aspetti particolari di altri da Aristotele non considerati affatto; o di qualità morali che Aristotele descrive rapidamente; o sono anche descrizioni di qualità che Aristotele brevemente definisce. Conviene anche dire che le definizioni che Teofrasto prepone ai singoli caratteri spesse volte sono troppo concettose, e che quella dello «screanzato», per esempio, è molto meno precisa dell’altra del «maleducato» in Aristone, e che non sempre si può o si deve imputare alla negligenza o poco intelligenza dei copisti bizantini l’assurdità di talune espressioni. Gli arguti ritratti adombrati dal degno maestro di Menandro sono stati sbozzati e sviluppati assai più che i caratteri descritti da Aristone, ma meno, molto meno di Aristone, si è preoccupato Teofrasto di raggiungere una certa pienezza di contenuto, preferendo egli lasciare pressoché indefinito quel che Aristone cercherà invece di rendere piú chiaro ed evidente. Non esiste, dunque, un Teofrasto autentico che i filologi avrebbero il dovere di riesumare tra le immondizie bizantine: esiste un Teofrasto che il tempo ha ricoperto di polvere, e che bisogna soltanto risciacquare perché egli n’esca netto e schietto senza tuttavia esser lindo e inamidato come un elegantone.
Alle recenti storie che fantasiosi filologi hanno inventato sulle venturose fortune di questo libriccino, immaginando che il manoscritto dei «Caratteri» si sarebbe salvato insieme con altri manoscritti teofrastei e di Aristotele da non so più quali pericoli e che Andronico di Rodi li avrebbe pubblicati per la prima volta nel Primo secolo avanti Cristo, io non credo. Dico che non credo all’ipotesi che i «Caratteri» avrebbero seguito la medesima sorte di quegli altri manoscritti delle lezioni di Aristotele e di Teofrasto: e son convinto per quel che ho detto fin qui, che Teofrasto pubblicò egli per primo i «Caratteri», ed egli per primo li sentí e giudicò opera d’arte. Lasciateci credere che questo intelligentissimo figlio
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