dei quali egli è stato ospite durante un viaggio, non si perde d’animo e li invita a casa sua, e intanto dice che un incendio ha devastato le sue ville in campagna e poi li conduce in una casa dove è tutto pronto per il pranzo, e lì, poiché non è casa sua, inventa su due piedi che deve correre incontro a un suo fratello che arriva da Salerno e prega gli ospiti di ritornar la sera per il convito, e quelli difatti ritornano e non lo trovano e derisi se ne vanno all’albergo. E il giorno dopo l’incontrano, e lui súbito protesta di averli aspettati fino a tardi, e che essi, nuovi della città, hanno sbagliato strada... vident hominem postera die, narrant, expostulant, accusant. Sì, qualche cosa di buono c’è nel carattere descritto dall’anonimo autore della «Retorica ad Erennio», ma le sue preoccupazioni stilistiche sono troppe e troppo evidenti perché noi possiamo tacere della gonfiezza di alcune immagini e della macchinosa pesantezza di altre che pur rivelano la buona intenzione di rappresentare con vivacità i diversi stati d’animo dell’ostentator pecuniosus.
E tuttavia appare certo che l’autore ha letto Teofrasto, se è vero che egli stesso alla fine esce a dire che sono assai divertenti coteste descrizioni, le quali mettono dinanzi agli occhi l’indole e natura di un uomo, totam enim naturam cuiuspiam ponunt ante oculos: la natura del millantatore, o dell’invidioso, o del timido, o dell’avaro, o dell’ambizioso, o dell’innamorato, o del lussurioso, o del ladro, o del delatore: aut gloriosi, aut avidi, aut timidi, aut avari, ambiliosi, amatoris, luzuriosi, furis, quadruplatoris. Ed è d’altra parte chiaro che il nostro anonimo appare preoccupato da quei medesimi pregiudizi retorici che il Gorgia tradotto da Rutilio Lupo il quale così introduce il caracterismòs di Licone da noi mentovato a pagina 47, quemadmodum pictor coloribus figuras describit sic orator hoc schemate, aut vitia aut virtutes eorum de quibus loquitur deformat. Descrizioni di maniera più adatte a colpire con violenza l’immaginazione degli uditori che a commuoverle esteticamente e perciò destinate alla recitazione piuttosto che alla lettura, esse sono anche qua e là nelle orazioni di Cicerone, del primo Cicerone che ubbidisce spesso agli schemi della retorica e però coglie dalla letteratura e non dall’osservazione