cente e dilettante: «Anche peggiore dell’ostinato è il sapientone, il quale è convinto di tutto sapere, per aver queste cose imparato da chi davvero le conosce, queste altre per aver soltanto veduto chi le faceva, e quelle infine per averle capite da sé solo. Ed è capace non soltanto di dire che quanto ha indosso se l’è fatto da sé, come Platone racconta di Ippia d’Elea, ma anche di costruirsi da sé una casa e una nave, e senza architetto; e di redigere per sé contratti i quali richiedono un’esperienza giuridica; e di curare gli schiavi propri, non soltanto se stesso, e di tentar perfino di curar gli estranei; e di piantare alberi e far carico di navi, le quali son cose che fanno bene soltanto i veramente pratici del mestiere, e benché in tutto faccia naufragio neppur così egli cessa dalla sua stolidezza. Ed è capace, arrogandosi ogni scienza, di fare in tutte una brutta figura e di chiamare ignoranti quelli che lo deridono...». Naturalmente, Aristone mon si limita a descrivere i tratti del maleducato, dell’ostinato e del sapientone, ma ne commenta con agilità la condizione etica, se così possiamo dire, illustrando le sottospecie di quei difetti per sintetizzarle tutte nel principale difetto della superbia e della millanteria. Perciò gli capiterà di descriverci anche la figura del dissimulatore, il quale gli sembra che sia una specie di millantatore, allo stesso modo che il sapientone gli appare uomo completamente stolto sul tipo dell’omerico Margite: «Il dissimulatore», scrive Aristone, «è per lo più una specie di millantatore che non dice quel che sente ma piuttosto il contrario, ed è bravo in lodar quello stesso che in verità egli biasima, e altresì capace di umiliar se stesso e i suoi simili in qualunque momento senza nascondere del tutto le proprie intenzioni. Gli giovano in questa sua parte una certa eloquenza e forza persuasiva, ed è tale che spesso ride sotto i baffi e fa smorfie e sorrisetti, e, appena uno gli si accosta, subito si leva su di scatto, scoprendosi. E, stando insieme con gente, tace per molto tempo, e, se alcuno lo loda o lo invita a parlare, o se dicono che egli sarà rammentato, esclama: Io che so, tranne... questo che non so nulla? e Qual conto si può fare di noi?; e Se di noi si farà mai menzione. E spesso ripete: Beati quei tali per il loro talento, o, per la loro capacità, o, per la loro fortuna; e non chiama le persone coi sem-