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la fortuna di un libro

titoli delle sue opere e quei pochi frammenti che ne possediamo confermano il giudizio di Cicerone, giacché nessun titolo investe un vero e proprio problema filosofico, e nessun frammento fa immaginare che Aristone siasi preoccupato di questioni teoretiche, ma sempre egli appare curioso e studioso insieme di notizie e documenti che giovino ad illustrare questo o quel problema filosofico, e sembra muoversi perciò non tanto con la destrezza del dialettico quanto con la grazia dello scrittore. Le «Concordanze erotiche», e «Le vite» di Epicuro e dei quattro scolarchi peripatetici, Aristotele, Teofrasto, Stratone, Licone, e forse anche una biografia di Eraclito, sono opere sue che gli antichi ricordano piú volte e che insieme con assai pochi frammenti ci offrono la prova della giustezza del giudizio ciceroniano.

In verità, egli deve la sua fortuna alle proprie doti di scrittore e di letterato, e Orazio e Plutarco l’ebbero caro appunto per questo, perché non era un filosofo gravis, ma tutto sapeva dire ed esporre con garbo e discrezione. E quando molti anni fa comparvero la prima volta per le stampe fe lacunose colonne di un papiro ercolanese, il quale restituiva alla luce il libro decimo di una compilazione di Filodémo di Gàdara sui vizi, la lettura di molti passi di Aristone che in quest’opera è largamente e integralmente citato, confermava la giustezza del giudizio ciceroniano rivelandoci un prosatore di spirito in tutto e per tutto degno di essere mentovato accanto a Teofrasto. Crediamo perciò che non sia inutile ai fini della nostra indagine spendere alcune pagine intorno all’Aristone dei papiri ercolanesi e illustrarne gli indiscutibili pregi, sebbene Filodemo a scopo polemico ce lo presenti affetto da quel medesimo vizio di superbia ch’egli, Aristone, avrebbe voluto curare in un suo trattatello: «Aristone, adunque, che ha scritto una breve memoria sul modo di curare la superbia soffri in proprio quel medesimo male dei filosofi i quali sono diventati superbi per volontà del destino...». All’epicureo Filodemo forse non andava a genio la franca disinvoltura con che uno dei tre eredi di Licone alla direzione del Peripato trattava quel problema dell’etica comune, e gli avrà probabilmente rimproverato di essere altrettanto superbo che leggiero, considerando che per appunto


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