Pagina:Teofrasto - I Caratteri.djvu/50


il filosofo teofrasto

commedia e in genere per il ridicolo e di un Menandro che sarebbe stato suo scolaro, converrà pur dire che se non ci è in nessun modo possibile scoprire tracce di Teofrasto in Menandro, giacché nessun passo menandreo riecheggia modi teofrastei cosí da rivelarne l’imitazione, è d’altra parte evidente che il commediografo assai piú che Teofrasto ebbe vivacissimo il senso del comico accoppiato a non so che grave e pietoso, e che però dall’insegnamento di Teofrasto egli trasse profitto a rappresentar gli uomini quali sono, con quel tanto di tedio e di tristezza che s’accompagna sempre alla felicità e fortuna, e con quel tanto di ridicolo che si scopre in ogni umana tragedia. Ecco perché io non mi so tenere dal desiderio di citare a conclusione di questo capitolo un passo del «Miles gloriosus» di Plauto, il quale penso sia il piú singolar documento del conto in che i commediografi ebbero Teofrasto, e in tanto più saporoso, in quanto, pur essendo fino ad oggi sfuggito all’attenzione dei filologi e studiosi, esso soprattutto ci rivela che un commediografo greco, e forse per appunto Menandro, se Menandro è l’autore dell’originale greco donde Plauto trasse ispirazione per il suo «Miles», ci rivela dunque che Menandro seppe, con animo capace di molte conformazioni perché molto delicato e vivo, imitar Teofrasto, e che Plauto commediografo latino seppe con altrettanta perizia riprodurre da par suo Menandro e Teofrasto.

C’è nel «Miles», precisamente nella prima scena dell’atto terzo, un lepidius semisenex, un graziosissimo e festivo ometto il quale si chiama Periplecomeno, ed è lui che toglie di pena e d’imbarazzo il giovane Pleusicle la cui fidanzata è stata rapita dal soldato smargiasso. Forse, è il personaggio piú umano di tutta la commedia; e non è certo la maschera ma è il carattere del buontempone rotto a tutte le avventure, e tuttavia di costumi educati e gentili. Egli stesso ci descrive i suoi mores, e dimostra come essi valgano a far chiara e aperta la sua lepidezza o venustas: «la lepidezza mia la mostrerò piú che non te ne parli, giacché io nei conviti non cerco mai di palpar la ganza altrui, né mi precipito sui cibi, né vuoto la coppa pria del tempo, e per il troppo bere non nasce mai da me di litigi, e se uno l’ho in uggia interrompo il discorso e torno a casa...». Periplecomeno non solo presta aiuto


42