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il filosofo teofrasto

errore che Eustazio, e che, suppergiú del medesimo tempo l’uno e l’altro, tutti e due abbiano con molta leggerezza opinato che Teofrasto tendesse a un ufficio pedagogico fondato sulle norme del conclamato e osservato parallelismo. La prefazione, che prove di natura stilistica e di contenuto ci dicono composta assai tardi, non ha nulla di Teofrasto, e nessun intento pedagogico è imputabile al nostro filosofo che noi amiamo immaginare e rappresentarci lontano da cosiffatti pregiudizi; ma è anche essa buon documento, seppure di epoca troppo recente, che Teofrasto quel suo libriccino lo pubblicò dopo premessavi un’avvertenza, la quale fu poi sostituita dalla stupidissima prefazione dell’anonimo bizantino.

Insomma, chi può negare che i trenta caratteri di Teofrasto, oggi famosi in letteratura come lo sono in politica i trenta tiranni, e che a noi piacciono appunto perché non soggetti alle norme della prosa inamidata e non astretti agli schemi della logica rigorosa, ma liberi e briosi e schietti: chi può negare che i trenta caratteri siano stati pubblicati da Teofrasto? Se essi piacciono a noi, a tutti noi indistintamente; se sono sempre stati giudicati opera d’arte, perché non avrebbero potuto giudicarli opera d’arte i contemporanei di Teofrasto? Non ha nessun valore l’affermazione che da Isocrate in poi qualunque scrittore greco di prosa il quale voglia conseguir successo letterario bada a evitare gli iati; e che perciò Teofrasto non avrebbe messo in commercio cotesta sua operetta, che è piena zeppa di iati e che non ha nessun periodo ben congegnato, ma si distingue invece per un dettato semplice, regolare, spregiudicatamente libero. Chi ragiona cosí per concluderne che l’operetta teofrastea fu letta a lezione e non fu mai pubblicata dall’autore, accusa senza nessun motivo Teofrasto di pusillanimità, e la pusillanimità è a Teofrasto odiosa quanto la vanità; mentre sta di fatto che proprio Teofrasto, il quale par distinzione dei tre stili, del tenue, del mezzano e dell’alto, doveva esser portato ad apprezzare la sua opera e a crederla degna di essere messa in commercio.

Se egli ebbe cuore di leggerli a lezione con molto successo, sí da potere «a sua posta divertire gli ascoltatori, incatenare la loro


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