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la composizione dei «caratteri»

sua indole arguta, potremmo aggiungere non soltanto la notissima dell’espressione da lui inventata per le barberie denominandole «conviti senza vino»; ma perfino l’altra riferita dall’antologista Ateneo, a proposito del pittore Parrasio, che Teofrasto nel libro sulla vita beata rappresentava lavorar di lena e con gioia e cantare mentre dipingeva. Amorevolissimo nell’insegnare e amabilissimo nel conversare, egli condiva i suoi ragionamenti di motti graziosi e di graziose facezie, ed era cosî perspicace e puntuto che non poche sentenze si raccolgono da’ suoi frammenti: per esempio, sulle donne che egli vorrebbe eccellenti nelle faccende di casa e non già nelle politiche e letterarie; e sugli scrittori, i quali ammoniva a leggere e rileggere le proprie scritture per evitare biasimevoli e grossolane mende. Che dunque un giorno egli abbia deciso di pubblicare i «Caratteri», e dei tanti da lui descritti a lezione, o in questo o quel suo volume, abbia scelto i piú tipici e i meglio riusciti, è possibile; mentr’è in ogni caso certo che nel terzo secolo dopo Cristo Diogene Laerzio già li leggeva raccolti in un sol volume intitolato indifferentemente «Caratteri morali» o «Morali caratteri», e già se n’erano fatti riassunti, come prova un papiro di Ossirinco, e forse anche Filodémo, nel primo secolo avanti Cristo, li aveva letti cosí, in un sol volume.

Per me la quistione è un’altra, e più importante assai della comunemente e vanamente discussa; giacché non soltanto Ateneo riferisce che Teofrasto un giorno avrebbe a lezione descritto il ghiottone, ma anche Eustazio, l’arcivescovo di Salonicco che nel secolo decimosecondo compose un commento ad Omero, par che conosca un carattere di Teofrasto a noi ignoto, e precisamente quello del valoroso accanto all’altro del codardo. Se cosí fosse, poiché noi possediamo, fra i trenta, il carattere del codardo, sarebbe da reputare che Teofrasto non avesse soltanto raccolto un volume sui vizi, ma anche un altro sulle virtú, e sarebbe per ciò da ritenere esatto quel particolare della sicuramente falsa prefazione, la quale immagina che Teofrasto esponga a un amico l’intenzione di proporre ai figli modelli di virtù e di vizi affinché essi seguano l’esempio dei virtuosi e non dei viziosi. Sarà invece da credere che l’autore della prefazione sia incorso nel medesimo


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