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il filosofo teofrasto

dietas o mesotes, è un punto fermo intorno al quale si muovono, più o meno vorticosamente, le generazioni.

Se vogliamo credere a Stobeo anche Teofrasto sarebbesi dilettato di comporre schemi di virtú e di estremi razionali in parte identici in parte diversi dagli aristotelici: la temperanza, l’intemperanza, la storditezza; la mansuetudine, l’eccitabilità, l’insensibilità; il coraggio, la temerarietà, la codardia; la generosità, la pusillanimità, l’orgoglio; la magnificenza, la meschinità, la fastosità. Ma è notevole che quel che Stobeo dice di Teofrasto, che cioè anche Teofrasto accettasse la medietas e l’essenzialità aristoteliche della virtú, sia subito accompagnato dalla citazione di un passo del medesimo Teofrasto, che, pur non essendo in nessun modo circostanziato per quel che riguardi l’opera donde esso è citato, induce tuttavia a ritener per fermo che Teofrasto a lezione, in coteste sue lezioni di etica, solesse, come avverte l’Ateneo da noi già mentovato a pagina 7, solesse, dunque, Teofrasto addurre esempi vivacissimi di vizi e di virtú. Nel testo riprodotto da Stobeo le parole di Teofrasto sono le seguenti: «costui che molte cose racconta e chiacchiera a lungo, questi che parla poco e non dice neppur quel che si deve dire, cotest’altro che dice invece quel che [non] si dovrebbe dire, nessuno di costoro coglie il momento giusto». Sono parole di Teofrasto che malamente edite dai filologi nol abbiamo corrette aggiungendo il [non]; e son parole le quali non permettono nessun dubbio più sul modo come Teofrasto facesse lezione e sugli esempi ch’egli a lezione solesse citare a conforto della sua, diciamo cosí, fenomenologia etica. Ed è però strano che nessuno degli studiosi di Teofrasto i quali in quest’ultimo trentennio si sono occupati dei «Caratteri», abbia tenuto conto di quel frammento che è pur cosí saporoso e fresco, non soltanto perché vi appaiono allineati il ciarlone, l’uomo silenzioso e lo sguatato, ma perché lo stile, se di stile si può parlare in cosí breve periodo, è caratterizzato dall’uso dei pronomi, da noi tradotti alla meglio, ma nell’originale greco anche piú evidenti e indicativi per la loro collocazione.

Racconta Diogene Laerzio che un giorno Teofrasto cosí disse che durante un banchetto serbava dignitoso silenzio:


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