anche se non veste la montura, eccitando i competenti al governo, e guidando chi ha bisogno, e incutendo pudore agli scellerati... e non va, no, a teatro o al senato per farsi ammirar seduto nei primi posti, ma va dove piú gli piace per ascoltare e vedere, e anche se non è presente col suo corpo egli è sempre presente col suo giudizio...».
Cicerone faceva assai bene in lodar Dicearco chiamandolo «ammirevole» e «dottissimo», e sollecitandone dall’amico Attico, che ne era studioso e ammiratore appassionato, una copia di tutte le opere. E nonostante gli apparisse piuttosto filosofo della ragion pratica e Teofrasto invece ei lo sentisse e approvasse come filosofo della ragion teoretica, finí poi col dirimere l’antica controversia dei due e col chiamar l’uno e l’altro delicias meas. In verità io non credo che ci fosse mai controversia grave tra Dicearco e Teofrasto, ma credo che anche Teofrasto si acconciasse ai tempi, e dai tempi e dalle lor congiunture traesse, non dico profitto, ma esperienza. In ogni caso trasse quel che poté dal favore di Demetrio di Faléro, danari e soccorsi per il suo Peripato che crebbe in decoro di edifizi e di suppellettili e di libri e altre cose bisognevoli alla scuola. Che se poi una controversia scoppiò un giorno tra i due e li fece avversari, chissà se dei due si rivelasse piú «pratico» Teofrasto che Dicearco: questo Teofrasto che costruiva muove aule per le sue lezioni e pubblicava le opere sue e del maestro Aristotele, e in robe eleganti, riverito ed acclamato, passeggiava per le vie di Atene, e raccoglieva intorno a sé ben duemila scolari; o quel Dicearco che accarezzava tuttora, per volontà della sorte a lui malvagia o per libera elezione, i sogni vagabondi del figlio di Sofronisco e del marito di Santippe.