credere che teofrastea e dicearchiana e ciceroniana insieme sia questa sentenza, alla quale i letterati moderni non so se tutti vorranno adattarsi, ma che figura come ammonimento di anima onesta e civile nell’opera tulliana sugli uffizi del cittadino; «Che l’amore dell’investigazione del vero ci distolga dal bene operare è cosa al dovere contraria, poiché della virtú la lode tutta nell’azione è riposta, dalla quale però sovente l’uomo riposa e gli è dato ritornare agli studi». E altrove, in altro passo della medesima opera, leggesi a rincalzo: «Quei filosofi che s’adoprano nella investigazione del vero perché disprezzano le cose che a molti paiono fortemente desiderabili ed essi invece le tengono da nulla, si stimano giusti. Ma mentre l’un genere di giustizia conseguono, non nuocere recando danno, inciampano in altra ingiustizia e impediti dalla cura di apprendere, abbandonano quelli che pur dovrebbero con la parola aiutare».
L’elegantissimis omnium philosophorum et eruditissimus, questo Teofrasto che è il filosofo piú elegante ed erudito, non avrebbe saputo né potuto pensare altrimenti in tempi che non erano repugnanti agli otia dello studioso e neppure ai negotia dell’uomo di parte, e che gli diedero facoltà di non soltanto studiar le piante e le acque, ma anche di notar che gli abitanti di Tirinto erano proclivi a menar vita giocosa e che però messi dinanzi ad avvenimenti gravi ricorrevano per guarirne all’oracolo di Delfi; o di considerar come fossero i Greci della Ionia inchinevoli al fasto e al piacere. Io non oso dire che sia di Dicearco il frammento di un’opera sulla condizione della Grecia, che porta il nome del condiscepolo di Teofrasto e figura dedicato a Teofrasto ma che è senza dubbio di età molto piú tarda: dico però che chi la compose si serví certamente di un autentico scritto di Dicearco dedicato a Teofrasto, nel quale i cittadini di Orópo erano dipinti come scrocconi, e quei di Tànagra invidiosi, e i Tespiesi bastian contrari, e însolenti i Tebani, avidi quelli di Antédone, spocchiosi i Plateesi, stupida la gente di Alicarnasso, e falsamente officiosi quelli di Coronea. Il nostro filosofo raccoglieva d’ogni parte notizie che potessero illustrare i costumi e le consuetudini delle diverse genti e città e ne faceva tesoro per le sue opere, addimostrandosi sempre