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l’elegantissimo teofrasto

viltà e non virtù nei suoi insegnamenti, e stringesse la ragione alla condizione del personale tornaconto ammiserendola in un volgare adattamento alle circostanze. La qual cosa senza dubbio intesero di rimproverare a Teofrasto quei filosofi troppo sottili e altrettanto superbi, i quali, non volendo confessare a sè stessi che virtù e sapienza non bastano alla beatitudine, trascurarono di considerare che l’amara sentenza di Teofrasto era scritta in un libro intitolato Callistene o il dolore, e che l’autore, legato a Callistene da intima affettuosa amicizia, ne piangeva la morte crudele e violenta dolendosi che la sorte l’avesse condotto accanto al grande Alessandro, uomo potente e fortunato e tuttavia incapace di capire in qual modo si debba far uso della fortuna e altresì pronto a sacrificare alla propria ambizione la virtù degli amici. Era Callistene nipote di Aristotele, e aveva accompagnato Alessandro nella spedizione contro la Persia come storiografo, ma, poiché aveva ingenerato negli adulatori del re ch’egli disprezzava avversione e odio contro la sua probità, Alessandro non esitò a condannarlo accusandolo di aver fatto parte della congiura di Ermoláo: orbene, Teofrasto, se vogliamo credere a Cicerone che leggeva quel suo scritto, non tanto dolevasi della misera sorte di Callistene quanto della fortuna che accompagnava la gloria di Alessandro.

Del resto, se qui volessimo riassumere con Cicerone il contenuto dell’opera che Teofrasto scrisse sulla vita beata e spiegare perché egli si opponesse alla comune credenza dei filosofi ostinati in proclamare che il saggio è felice fra i tormenti e incapati ormai in ridurre il Socrate platonico a un fantoccio di scuole e di teatro, dovremmo per ciò solo concludere che a Teofrasto appariva irreale e astratta una tale opinione. Egli è il medesimo Teofrasto che in un libro sulle ricchezze molto si distendeva a lodare la magnificenza e l’apparato degli spettacoli e delle feste popolari e metteva nella facoltà di queste spese molta parte dell’utilità che proviene dalle ricchezze; il medesimo che in un altro libro intitolato La polifica adattata alle circostanze, stabiliva quali fossero in uno Stato le inclinationes rerum et momenta temporum, quali cioè le tendenze e le circostanze, e come bisognasse a se-


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