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l’elegantissimo teofrasto |
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invece di sprone, o di parola piacevole al gusto come il vino di Lesbo rispetto a Eudémo che invece era asprigno come il vino di Rodi. E Aristotele non solo avrebbe mutato il suo primo nome di Tírtamo in questo di Teofrasto «ispirato dagli dei», ma l’avrebbe accreditato con quest’ultima battuta sentenziosa a suo successore, allorché nel 324 avanti Cristo fu costretto a ritirarsi in Calcide per sottrarsi all’accusa di empietà. E avrebbe per ciò solo provveduto egregiamente alle fortune della scuola, la quale par che si accrebbe di nuovi edifizi e di numerosissimi scolari, se è vero che intorno a Teofrasto si raccolsero ben duemila scolari e ch’egli seppe coltivare liberamente le tendenze e gl’ingegni, a tal punto che lo stoico Zenone mosso da gelosia lasciò scritto che il «coro» di Teofrasto era più numeroso, ma il sto più armonioso e concorde.
Scolaro di Teofrasto è Stratone che poi gli succederà nella direzione del Peripato, e scolari suoi sono anche il medico Erasfistrato, il commediografo Menandro, il grammatico Linceo di Samo e lo storico Diride anch’egli nativo di Samo, e quel Demetrio di Faléro che governò Atene per dieci anni dal 318 al 307. Protetto e ammirato da Cassandro, successore del grande Alessandro in Grecia, e da Tolemeo che governava l’Egitto, Teofrasto non sfuggì neppure lui alle accuse di empietà che la gelosia delle scuole avversarie sollevava contro i discepoli diretti di Platone e di Aristotele, e nel 319-318 fu costretto a difendersi in tribunale, forse dinanzi all’Areopago, dalla denunzia che tale Agnonide aveva presentato incolpandolo di sovvertir la fede negli dèi patrii. Egli stesso in una lettera indirizzata al suo condiscepolo e concittadino Fania raccontava che era assai difficile in Grecia ottenere tutti i suffragi a proprio favore non soltanto nei dibattiti della pubblica assemblea ma perfino nei giudiziari, per quanto piccolo potesse essere il numero dei giudici; e notizie di varia fonte confermano che il nostro filosofo, il quale volle difendersi da sé con le proprie parole e argomentazioni, pur essendo facundissimus tacque perché turbato dalla soggezione di parlare in pubblico, deturbatus verecundia, e non seppe dire altro che poche parole: tante, in ogni caso, che esse e l’assurdità e malvagità dell’accusa poco mancarono non facessero condannare Agnonide,