Cogli occhi semichiusi e con un libro in mano,
Semichiuso ancor esso. — Mi giungeva di lontano
Grida, canti e clamori di villici. — Imbruniva. —
Pei fessi delle imposte filtrava un’aria viva
Che pareva dicesse: L’inverno è qui che viene.
Io non muovevo palpebra, quantunque nelle vene
Mi serpeggiasse il freddo, ma, sia pigrizia o grillo,
Sopportavo quei brividi, pure di star tranquillo.
La stanza parea enorme, tanto era vuota e bruna. —
Di tratto in tratto, a sbalzi, una mosca importuna
Borbottava per l’aria misteriosi metri,
Poi dava scioccamente della testa nei vetri —
Le tende alla finestra frusciavano inquïete...
Racconto queste cose, perchè, se nol sapete,
Noi poeti, sovente, non siam noi che scriviamo,
È il vento che fa un fremito correr di ramo in ramo,
È una canzon perduta che pel capo ci frulla,
È il fumo di un sigaro, è un’ombra, è tutto, è nulla,
È un lembo della veste di persona sottile,
È la pioggia monotona che scroscia nel cortile,
È una poltrona morbida come sera d’estate,
È il sole che festevole picchia alle vetrïate,
È delle cose esterne la varia litania,
Che fe’ rider Ariosto e pianger Geremia. —
Stavo dunque soletto, cogli occhi semichiusi
E la mente perduta in fantasmi confusi;