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prologo 11

     Cogli occhi semichiusi e con un libro in mano,
     Semichiuso ancor esso. — Mi giungeva di lontano
     Grida, canti e clamori di villici. — Imbruniva. —
     Pei fessi delle imposte filtrava un’aria viva
     Che pareva dicesse: L’inverno è qui che viene.
     Io non muovevo palpebra, quantunque nelle vene
     Mi serpeggiasse il freddo, ma, sia pigrizia o grillo,
     Sopportavo quei brividi, pure di star tranquillo.
     La stanza parea enorme, tanto era vuota e bruna. —
     Di tratto in tratto, a sbalzi, una mosca importuna
     Borbottava per l’aria misteriosi metri,
     Poi dava scioccamente della testa nei vetri —
     Le tende alla finestra frusciavano inquïete...
Racconto queste cose, perchè, se nol sapete,
     Noi poeti, sovente, non siam noi che scriviamo,
     È il vento che fa un fremito correr di ramo in ramo,
     È una canzon perduta che pel capo ci frulla,
     È il fumo di un sigaro, è un’ombra, è tutto, è nulla,
     È un lembo della veste di persona sottile,
     È la pioggia monotona che scroscia nel cortile,
     È una poltrona morbida come sera d’estate,
     È il sole che festevole picchia alle vetrïate,
     È delle cose esterne la varia litania,
     Che fe’ rider Ariosto e pianger Geremia. —
     Stavo dunque soletto, cogli occhi semichiusi
     E la mente perduta in fantasmi confusi;