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36 | la secchia rapita |
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Sazierá doppia strage il mio furore;
di corpi morti inalzerò montagne;
farò laghi di sangue e di sudore,
e tutte inonderò quelle campagne. —
— Cavalier, disse Palla, il tuo valore
san cantar fin le trippe e le lasagne;
sí che indarno ti studi e t’argomenti
di farlo or noto a le celesti menti.
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Ma s’hai desio di qualche degna impresa,
facciam cosi: va’ tu coi Gemignani;
ch’io sarò de’ Petroni a la difesa,
e ti verrò a incontrar lá su que’ piani.
Bologna sempre fu a’ miei studi intesa;
onde tenermi a cintola le mani
or non debbo per lei. Tu meco scendi,
se palma di valor, se gloria attendi. —
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A quel parlar si levò Febo, e disse:
— Vergine bella, i’ verrò teco anch’io
in favor di Bologna, ove ognor visse
l’antico studio de le Muse e mio. —
Bacco, che in Citerea le luci fisse
sempre tenute avea con gran desio,
— Cosí dunque, rispose in volto irato,
fia il popol mio da tutti abbandonato?
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La cittá ch’ognor vive in feste e canti
fra maschere e tornei per onorarmi,
c’ha sí dolce liquor, vedrá fra tanti
travagli suoi qui neghittoso starmi?
Bella madre d’Amor, che co’ sembianti
puoi far vinta cader la forza e l’armi,
tu meco scendi, ch’io farò a costoro
di stoppa rimaner la barba d’oro. —