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canto secondo 35


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     Girò lo sguardo intorno, onde sereno
si fé’ l’aer e ’l ciel, tacquero i venti,
e la terra si scosse e l’ampio seno
de l’oceàno a’ suoi divini accenti.
Ei cominciò dal dí che fu ripieno
di topi il mondo e di ranocchi spenti,
e narrò le battaglie ad una ad una,
che ne’ campi seguir poi de la luna.
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     — Or disse, una maggior se n’apparecchia
tra quei del Sipa e la cittá del Potta:
sapete ch’è tra lor ruggine vecchia
e che piú volte s’han la testa rotta.
Ma nuova gara or sopra d’una secchia
han messa in campo; e se non è interrotta,
l’Italia e il mondo sottosopra veggio:
intorno a ciò vostro consiglio chieggio. —
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     Qui tacque Giove, e ’l guardo a un tempo affisse
nel padre suo, che gli sedea secondo.
Sorrise il vecchio, e tirò un peto, e disse:
— Potta! i’ credea che ruinasse il mondo.
Che importa a noi se guerra, liti e risse
turban lá giú quel miserabil fondo?
E se gli uomini son lieti o turbati?
Io gli vorrei veder tutti impiccati. —
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     Marte a quella risposta alzando il ciglio,
— O buon vecchio, gridò, son teco anch’io.
Che importa a questo eterno alto consiglio,
se stato è colá giú turbato o rio?
Chi è nato a perigliar, viva in periglio:
viva e goda nel ciel chi è nato dio.
Io, se la diva mia noi mi disdice,
l’una e l’altra cittá farò infelice.