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356 nota


Stando cosí le cose, con qual diritto potremmo prendere come genuina l’edizione del 1622, quando sappiamo che, oltre le mutazioni introdotte per rispetti religiosi, molte volte anche il Tassoni correggeva per correggere, non solo per la sua incontentabilitá di artista, ma anche per il suo ingegno critico che trovava sempre da appuntare sulle cose degli altri e sulle proprie?1 E chi potrá mai sentirsi cosí sicuro di sé e del proprio giudizio da poter distinguere dai luoghi mutati per non offendere o dispiacere quelli cambiati per introdurre alcun miglioramento, o per compiacere qualche amico2, o per altra ragione, magari una bizza personale? come quando muta il verso ottavo della stanza 41 del canto XI mettendovi invece di Simone Tassi il marchese Sforza Pallavicino, perché «il primo per comparire in iscena avea promessi certi guanti d’ambra, che poi per essere cosa odorosa andarono in fumo. E veramente il luogo meritava d’essere occupato da un altro ingegno mirabile come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l’altro che stimava piú due paia di guanti, che l’immortalitá, meritava d’esser levato da tappeto». E questa nota è di Gaspare Salviani, cioè di Alessandro Tassoni, e la correzione compare solo nell’edizione del 1630 e nelle successive sino al Barotti; poiché sino al 1622 si leggeva:

E ne scrisse anche a Monsignor Falconio
E allo Strozzi e al prior di Sant’Antonio;

in quella del 1624 mutò:

Ma sopra tutti al principe Borghese
E a Simon Tassi di Pavul marchese;

per dar luogo alla lezione definitiva del 1630:

Ed al non men di lor dotto e cortese
Sforza gentil Pallavicin marchese.

  1. Il 25 dicembre 1615 scriveva al Barisoni: «Se vi troverá cosa che non le piaccia, la prego ad avvisarmela, che subito la muterò, perché io non son punto tenace di opinione» (vol. II, p. 10); e piú tardi, il 23 gennaio 1616, mandando all’amico un lungo elenco di luoghi mutati, aggiungeva: «Né si meravigli V. S. di tante mutazioni, ché le cose mie non hanno mai quiete sicura» (vol. II, p. 22).
  2. Il 10 aprile 1616 scriveva al Barisoni: «Nel IV canto ho fatto varie mutazioni per dar gusto a un amico» (vol. II, p. 30).