testo del 1624, non crede nemmeno sia giusto riprodurre, come io sostengo, il testo del 1630. Egli in un primo momento affermò1
ddoversi prendere come base l’edizione parigina del 1622, ove secondo lui, non sono ancora introdotti quei cambiamenti che furono portati nella posteriore per non dispiacere al Papa e all’Inquisizione: tale edizione andrebbe rettificata introducendovi soltanto quelle variazioni della stampa del 1624 che non furono determinate da rispetti umani o religiosi, ma sono l’espressione di miglioramenti liberamente voluti dall’autore. In questo schiettamente non consento col Nascimbeni; innanzi tutto perché un testo cosí concepito della Secchia riuscirebbe eccessivamente soggettivo, poi perché, ad essere interamente coerenti alle premesse, si giungerebbe di necessitá a conseguenze cui, sono certo, si sarebbe ribellato egli pel primo. Difatti, messo il criterio che non è possibile adottare come fondamento del testo del poema l’edizione di Ronciglione o altra posteriore, perché troppi sono i mutamenti in essa introdotti o per volontá della Inquisizione, o per compiacere ad amici, o per non dispiacere a potenti, nemmeno l’edizione parigina potrebbe essere accolta per tale rispetto senza ragionevole e fondata diffidenza; poiché per avere il testo veramente genuino della Secchia, non turbato da preoccupazioni umane o divine, dovremmo risalire senz’altro alla redazione in dieci canti del 1615, quale fu mandata a Padova al canonico Barisoni, perché ne procurasse la stampa in Venezia. Quella, e nessun’altra posteriore, è la Secchia come uscí di getto in sei mesi di geniale lavoro dalla mente del poeta, senza riguardi a persone, a cose, a istituzioni. Ma è noto che subito, proprio sino dal principio del 1616, cominciarono le prime modificazioni inspirate da quei rispetti umani e religiosi denunciati per l’edizione del 1624, e che il poeta fin dal 12 marzo scriveva al Barisoni: «Quanto alla stampa del Poema, bisogna consultare bene quello che si ha da fare, acciò non diamo disgusto né incorriamo pericolo. Starò aspettando i luoghi segnati; e Monsignor [Querenghi] ed io vedremo se vi sará altro di pericoloso quanto alle genti descritte; ma dubito che quando saremo a mettere la falce nel grano, non resti il loglio e si levino le spiche». E il 22 aprile aggiungeva: «La prego ad appuntare con lui [col Pignoria] in materia della stampa i luoghi necessari da correggere e risolvere una delle due cose: cioè o di correggerne
- ↑ Una nuova edizione della «Secchia rapita», in Il resto del Carlino, del 24 gennaio 1913.