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304 rime


XXIV

     Ma il segretario suo, ch’era un baccello,
e pretendea gran cose in poesia,
l’abbandonò in Parigi in sul piú bello
e lasciò al Ceva la segreteria:
poi, quando il vide col papal mantello,
subito si pentí de la follia
e venne a Roma a far questa faccenda,
ma giá la sua fortuna era in commenda.

XXV

Sopra un avaro ricco.

     Questa mummia col fiato, in cui natura
l’arte imitò d’un uom di carta pesta,
che par muover le mani e i piedi a sesta
per forza d’ingegnosa architettura,
     di Filippo da Narni è la figura,
che non portò giammai scarpe né vesta
che fosser nuove o cappel nuovo in testa,
e centomila scudi ha su l’usura.
     Vedilo col mantel spelato e rotto,
ch’ei stesso di fil bianco ha ricucito,
e la gonnella del piovano Arlotto.
     Chi volesse saper di ch’è il vestito,
che giá quattordici anni ei porta sotto,
non trovería del primo drappo un dito.
Ei mangia pan bollito
e talora un quattrin di calde arrosto
e il Natale e la Pasqua un uovo tosto.