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rime | 303 |
Ma son un che v’ho in c... a tutta botta,
venuto a Roma per passar la state
e vedervi sul carro andar legate
in Ponte a far col boia a la pilotta.
Giucar, darvi danar, farvi le spese
posso, e sapete voi s’io dico il vero
che le pecunie mie v’avete prese.
Di darvi gli stivali ho ancor pensiero,
come tornate piú nel mio paese
a tuor la mancia in foggia di corriero.
Ma vuotiamo il carniero:
è meglio esser lombardo ed un c....,
che razza d’Alagnino e di ladrone.
XXIII
Ai suoi parenti.
Parenti miei, s’alcun me n’è restato,
Dio vi dia bene e vi conservi sani:
ch’io per me dono la mia parte ai cani,
né vo’ mai piú che me ne sia parlato.
Parenti ah! parenti eh! Sia pur frustato
chi vi crede: piú tosto i luterani,
piú tosto i turchi m’abbian ne le mani
ch’io mi fidi mai piú di parentato.
Vo’ ben ch’a lo scontrarci per la via
ci facciamo l’un l’altro di berretta
e che ci diam del vostra signoria;
ma dove l’interesse ci si metta,
ognun faccia da sé, col suo si stia:
e parenti a le forche; a dirla schietta,
quest’è la mia ricetta,
e chi me ne riprende infra le genti
si possa imparentar coi miei parenti.