Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
rime | 291 |
IV
Ad una fanciulla.
Bella sei tu né sembri altera in volto
piú di quanto adornar può tua beltade;
semplice mostri il cor com’è l’etade,
né sdegno scorgo in quei bei lumi accolto.
Ma non posso io però viver disciolto
da un rio timor che nel pensier mi cade,
rammentando che sol finta pietade
ha spesso altrui fra duri lacci involto.
Ben m’allettano l’alma i dolci sguardi
e gli atti vaghi ove ogni grazia ride,
ma sono i moti miei sospesi e tardi;
ché l’augellin, che dianzi in aria vide
rimanere il fratel su l’esca morto,
teme la fraude e sta su l’ali accorto.
V
Bella mendicatrice.
Dei tesori d’amor ricca e felice
ma di quei di fortuna ignuda e priva,
cinta in vil gonna e sospirosa giva
bella dei cori altrui mendicatrice;
poco chiedea la lingua allettatrice
mentre i suoi mali in dolci modi apriva,
ma il guardo peregrin l’alme rapiva
con occulta virtú che dir non lice.
O ricchezze d’amor povere e sole,
che giova aver di perle e di rubini
la bella bocca e ne le luci il sole?
Che giova l’ambra e l’oro ai crespi crini,
se poi fortuna ingiuriosa vuole
che a sí vile mercé costei s’inchini?