Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/287


canto primo 281


64
     Gli spiriti perversi avean creduto
che sen gisse il Colombo a l’occidente,
e che piú non tornasse a dare aiuto
a la perduta sua misera gente;
ma poi che l’ebber ritornar veduto
contra il furor de l’aquilone algente,
ne le caverne lor frigide e vote
legaro i venti; e restâr l’aure immote.

65
     E avean lo schernitor di scherno vinto,
se l’angelo di Dio non discendea
a disserrare il tenebroso cinto
che chiuso il vento in sua magion tenea.
A l’isola felice il duce spinto
su l’ora nona il quarto di giugnea,
e ritrovava in orrida sembianza
tutta cangiata giá sìi lieta stanza.

66
     Corsero al lito i suoi compagni mesti,
tosto che di lontan videro i legni;
e con le mani alzate e con le vesti
feron chiamando ai naviganti segni;
e a l’approdar de le tre navi presti
si lanciâr giú da quei dirupi indegni,
che di prati fioriti e piagge amene
s’eran cangiati in nudi sassi e arene.

67
     Fuvvi di lor chi per desio d’uscire
fuor di quel luogo inospite e diserto
corse ne l’onda a rischio di morire,
ch’eran le navi ancor nel mare aperto.
Ma poi che tempo e spazio ebbe il desire,
Blasco nel danno suo giá fatto esperto
con vergognose luci e ’n terra fisse
chiese perdono al capitano, e disse: