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280 | l'oceano |
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Ma del settentrion la rabbia avversa
s’oppone, e ritornar non gli concede,
o se ritorna pur, sì l’attraversa,
che va girando e tardo e lento ei riede:
vince l’industria al fin l’aura perversa,
e giá securo ha sovra il vento il piede:
ma il vento, ch’ottener non può la palma,
subito cessa; e resta il mare in calma.
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Alzano i marinai le vele, e vanno
cercando aura che spiri, e nulla giova.
Senz’aura il cielo, il mar senz’onda stanno,
perduto è quaggiú il moto o non si trova:
gettan gli schifi, e con fatica e affanno
cercati di rimorchiar le navi a prova:
ma sì stentata è l’opra e così lunga,
che troppo ci vorrá pria che si giunga.
62
Il capitano allora in sé raccolto
levò le mani e le preghiere a Dio,
e disse: — Alto Signor, tu che m’hai tolto
a custodir dal tuo avversario e mio;
tu che rompesti dianzi il nembo folto
e frenasti del mar l’impeto rio;
tu dammi or vento, e fa’ ch’io trovi il core
de’ cari servi tuoi tratto d’errore. —
63
Su l’ali de la Fede in un momento
saliro i prieghi a la magion celeste:
e ’l messaggier divin che stava intento
al rio pensier de la tartarea peste,
l’aurate piume giú dal firmamento
spiegò succinto in luminosa veste;
e ritrovò che gli angioli dannati
ne le spelonche i venti avean legati.