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canto primo 267



8
     Cosi parlava; e giá trascorsi tanto
erano i legni suoi nel mar immenso,
che del lito african da nessun canto
non appariva piú vestigio al senso;
quando rivolse al glorioso vanto
gli occhi il superbo re de l’aer denso,
e antiveduto il suo periglio sorse
dal nero seggio e l’empie man si morse.

9
     E chiamando i ministri, a’ quai commessa
l’aria avea d’occidente e ’l mar profondo,
grida lor furiando: — E chi concessa
al Colombo ha la via del nostro mondo?
Dunque d’un uomo vil l’audacia oppressa
e sommersa del mar nel cupo fondo
esser non può con tre legnetti frali?
O ignominia degli angioli immortali!

10
     Se tornate qua giú, spiriti indegni,
senz’averlo affogato entro a quelTonde
o distornato almen sì ch’a quei regni
non giunga mai che l'oceáno asconde,
io vi farò provar l'ire e gli sdegni
ch’io serbo a le perdute anime immonde,
e legherovvi di catene eterne
tra ’l foco e ’l giel de le paludi inferne. —

11
     Sì disse il re de l’ombre; e ’l guardo fiero
volgendo a Bucifar terror de’ venti,
mostrò ch’a lui del suo crudele impero
toccassero le basi e i fondamenti.
Come nottole uscian per l’aer nero
gli spiriti mal nati ai rai lucenti,
e pareva che ’l sole a quell’uscita,
ritirasse la luce impallidita.