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canto duodecimo | 225 |
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Con le ginocchia e con le mani in terra
Lemizzon cade, e fa cader con esso
le brache di Sprangon, ch’a sorte afferra
col raffio ch’abbassò nel tempo stesso.
Ma da la ronca a quel colpir si sferra
lo scudo del carton, spezzato e fesso;
onde l’ardito Lemizzon che vede
il rischio, salta in un momento in piede;
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e Sprangon, ch’a sbrigar le gambe attende,
urta per fianco, e giú da l’orlo il getta.
Sprangon cadendo in una mano il prende,
e ’l rapisce con lui per sua vendetta.
Ravviluppato l’un con l’altro scende;
ma nel cader si distaccaro in fretta:
batton su l’onda e vanno al fondo insieme,
l’acqua rimbalza, e ’l lido intorno freme.
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Lemizzon, ch’è piú sciolto e piú spedito,
soffia le spume e ’l volto alza da l’onda;
e, poi c’ha scorto ov’è sicuro il lito,
passa notando in su l’amica sponda.
Ma da le brache sue l’altro impedito
e da l’armi, restò ne la profonda
voragine affogato e quivi giacque,
cibo de’ pesci e impedimento a l’acque.
58
Ramiro Zabarella, un cavaliero
il piú gentil che fosse a’ giorni sui,
ma disdegnoso e furibondo e fiero
con chi volea pigliar gara con lui,
comparve armato sopra un gran destriero,
dopo che Lemizzon chiarí colui;
e disse: — O bolognesi, oggi la vostra
disfida fèste; e noi farem la nostra.