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224 | la secchia rapita |
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Lemizio fu nomato o Lemizzone,
piccolo e grosso e di costumi antico;
avea ne la man destra un rampicone,
e sopra la celata un pappafico,
ne la manca una targa di cartone
foderata di scotole di fico:
del resto, in giubberel con le gambiere,
parea un saltamartin proprio a vedere.
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Rise Sprangon vedendolo su ’l ponte,
e motteggiollo e dileggiollo assai;
chiamandolo aguzzin di Rodomonte,
stronzo d’Orlando, ambasciator de’ guai.
Volgendo Lemizzon l’ardita fronte,
rispose: — Al cospettazzo, e che dirai,
bruto porco arlevò col pan de sorgo,
se te fazzo sbalzar zoso in quel gorgo? —
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Alza la ronca a quel parlar Sprangone,
e mena per dividergli le ciglia.
Lemizzone la targa al colpo oppone,
v’entra un palmo la punta e vi s’impiglia:
ei la targa abbandona, e ’l rampicone
gli avventa a l’elmo, e ne’ graticci il piglia;
e tira con tant’impeto a traverso,
che ’n riva al ponte il fa cader riverso.
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Sprangon tocca del cul su ’l ponte a pena,
che balza in piedi, e la sua ronca gira
con quella targa infitta; e su la schiena
ferisce Lemizzon che si ritira.
Lemizzon de l’uncin a un tempo mena,
ma non va il colpo ove drizzò la mira;
segnava a la visiera, e giú discese,
e ne la stringa de’ calzoni il prese.