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canto undecimo | 203 |
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La desïosa turba intenta aspetta
che venga il conte, e mormorando freme;
s’empiono i palchi intorno, e folta e stretta
corona siede in su le sbarre estreme;
e dai casi seguiti omai sospetta
che ’l conte ceda, e la sua fama preme.
Quando a un tempo s’udir trombe diverse
da quella parte, e ’l padiglion s’aperse.
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Ed ecco, da cinquanta accompagnato
de’ primi de l’esercito possente,
il conte comparir ne lo steccato
con sopravesta bianca e rilucente,
sopra un caval pomposamente armato
che generato par di foco ardente:
sbuffa, anitrisce, il fren morde, e la terra
zappa col piede e fa col vento guerra.
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Disarmata ha la fronte, armato il petto,
nude le mani: e sopra un bianco ubino
gli va innanzi Renoppia, e ’l ricco elmetto
gli porta; e ’l buon Gherardo il brando fino,
il brando famosissimo e perfetto
di don Chisotto; e ’l fodro ha il suo padrino.
Ha Voluce lo scudo, e seco a canto
Roldan la lancia, e Giacopino un guanto;
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l’altro ha Bertoldo; e l’uno e l’altro sprone
gli portano Lanfranco e Galeotto;
e ’l conte Alberto in cima d’un bastone
la cuffia da infodrar l’elmo di sotto:
ma dietro a tutti fuor del padiglione
l’interprete Zannin venia di trotto
sopra d’un asinel, portando in fretta
l’orinale, una ombrella e una scopetta.