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canto undecimo | 197 |
7
Questi era un tal piccin pronto ed accorto,
inventor di facezie e astuto tanto,
che non fu mai giudeo sií scaltro e scorto
che non perdesse in paragone il vanto.
Uccellava i poeti, e per diporto
spesso n’avea qualche adunata a canto;
ma con modi sí lesti e sí faceti,
che tutti si partian contenti e lieti.
8
In armi non avea fatto gran cose,
però ch’in Roma allor si costumava
fare a le pugna, e certe bellicose
genti il governator le castigava.
Ma egli ebbe un cor d’Orlando; e si dispose
d’ire a la guerra, perché dubitava
de’ birri, avendo in certo suo accidente
scardassata la tigna a un insolente.
9
Il conte allor che vide al vento sparsi
tutti i disegni e ’l suo pensier fallace,
cominciò con gli amici a consigliarsi
se v’era modo alcun di far la pace.
Vorrebbe aver taciuto, e ritrovarsi
fuor de la perigliosa impresa audace;
ché sente il cor che teme e si ritira,
e manca l’ardimento in mezzo a l’ira.
10
Ma il conte di Miceno e ’l Potta stesso
e Gherardo e Manfredi e ’l buon Roldano
gli furo intorno; e ’l vituperio espresso,
dov’ei cadea, gli fêr distinto e piano.
Indi promiser tutti essergli appresso,
e la pugna spartir di propria mano;
ond’ei riprese core, e per padrino
s’elesse il conte di San Valentino.