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canto decimo | 191 |
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A cui fatto saper con lieto aviso
che l’attendea del conte un paggio in sella
per cosa di suo gusto, a l’improviso
l’avea fatto venir dove stav’ella.
Com’egli alzò le luci al vago viso,
tosto conobbe la sua donna bella;
onde s’avventa, e de l’arcion la prende,
e la si porta in braccio a le sue tende.
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E baciandola in bocca avidamente,
or la strigne, or la morde, or la rimira;
ed ella in lui, fra cupida e dolente,
le belle luci sue languida gira.
Parve l’atto ad alcun poco decente,
che l’ebbero per maschio a prima mira:
né distinguendo ben dal pèsco il fico,
dicevano di lui quel ch’io non dico.
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Stette tutto quel giorno il conte in letto,
tutta la notte e la seguente ancora,
sempre con gran timor, sempre in sospetto
di doversi morire ad ora ad ora;
ond’ebbero gli amanti agio a diletto
di star anch’essi e l’una e l’altra aurora,
giunti a goder de le sciocchezze sue,
discorrendo fra lor com’ella fue.
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Giá Titta dal Sigonio intesa avea
la beffa del veleno, e l’avea detta
a la donna gentil, che ne ridea
e godeva fra sé de la vendetta;
disegnando di star, s’ella potea,
col nuovo amante e non mutar piú detta:
poiché questa le par tanto sicura
che sarebbe pazzia cangiar ventura.