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186 la secchia rapita


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     Ma il conte di Culagna avendo in tanto
vista Renoppia uscir del padiglione,
rassettato il collar, la barba e ’l manto
e tiratosi in fronte un pennacchione,
l’era gita a incontrar da un altro canto,
salutandola quasi in ginocchione;
ond’ella instrutta di sue degne imprese,
l’avea chiamato a sé tutta cortese.
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     E avendo il suo valor molto esaltato,
la dispostezza e’l fior de l’intelletto,
giurato avea di non aver trovato
chi piú paresse a lei degno suggetto
de l’amor suo, quand’ei non fosse stato
in nodo marital congiunto e stretto:
onde il burlar de la donzella avia
posto il meschino in strana frenesia.
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     Trovollo Titta in un solingo piano,
ch’ei passeggiava a l’ombra d’una noce,
e gía fra sé con la corona in mano
parlando, a passo or lento, ora veloce.
Come egli vide il cavalier romano,
gli si fece a l’orecchia, e a mezza voce,
— Frate, gli disse, per uscir di doglie,
io son forzato avvelenar mia moglie.
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     A me certo ne spiace in infinito,
ma cosí porta la crudel mia stella. —
Quindi gli narra quanto era seguito,
e quel che detto gli ha Renoppia bella.
Mostra di rimaner Titta stupito,
e lo chiama felice in sua favella:
— Conte, tu se’ nu papa, e t’ajo detto
che no’ c’è che te pozza stare a petto. —