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canto decimo | 183 |
27
Da Nisida la dea spedisce un messo
al principe Manfredi, e ’n terra scende;
e cangia volto, e ’l bel sembiante espresso
de la contessa di Caserta prende.
Il principe e costei d’un padre stesso
nacquero, se la fama il vero intende,
ma di madri diverse; e fur nudriti
per alcun tempo in differenti liti.
28
Condotti in corte poi fanciulli ancora,
ne l’albergo real crebbero insieme
senza riguardo, infin che venne l’ora
che ’l fior di nostra etá spunta col seme.
Erano gli anni quasi uguali, e allora
de l’uno e l’altro le bellezze estreme;
onde il fraterno amor, non so dir come,
strano incendio divenne, e cangiò nome.
29
Sospettonne, osservando i gesti e i visi,
il padre; e maritò la giovinetta:
ma i corpi fûr, non gli animi divisi,
e restò l’alma in servitú ristretta.
Or che vede venir con lieti avisi
Manfredi il messaggier da l’isoletta,
cuopre la poppa d’una navicella,
e solo e chiuso va da la sorella.
30
Trovolla a piè d’una distrutta ròcca,
che passeggiava in un giardino ameno.
Subito scende; e, come Amore il tocca,
corre e l’abbraccia e la si strigne al seno,
e la bacia negli occhi e ne la bocca:
e da la dea d’amor tanto veleno
con que’ baci rapisce e tanto foco,
che tutto avvampa e non ritrova loco.