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180 | la secchia rapita |
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Giá la foce del Tebro era non lunge,
quando si risvegliò Libecchio altiero
che ’n Libia regna, e dove al lido giunge,
travalca sopra il mar, superbo e fiero:
vede l’argentea vela, e come il punge
un temerario suo vano pensiero,
vola a saper che porti il vago legno,
e intende ch’è la dea del terzo regno.
16
Onde orgoglioso e come invidia il move,
a Zefiro si volge, e grida: — O resta,
o io ti caccierò nel centro dove
non ardirai mai piú d’alzar la testa.
A te la figlia del superno Giove
non tocca di condur: mia cura è questa.
Va’ tu a condur le rondini al passaggio,
e a far innamorar gli asini il maggio. —
17
Zefiro, ch’assalito a l’improviso
da l’emulo maggior quivi si mira,
ne manda in fretta al suo fratello aviso
che su l’Alpi dormiva, e ’l piè ritira.
Corre Aquilon, tutto turbato in viso,
ch’ode l’insulto, e freme di tant’ira,
che fa i tetti cader, gli arbori svelle,
e la rena del mar caccia a le stelle.
18
Libecchio che venir muggiando insieme
i due fratelli di lontano vede,
si prepara a l’assalto; e giá non teme
del nemico furor, né il campo cede:
tutte raguna le sue forze estreme,
e dal lido african sciogliendo il piede,
chiama in aiuto anch’ei di sua follia
Sirocco regnator de la Soria.