Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
canto decimo | 179 |
11
Tremolavano i rai del sol nascente
sovra l’onde del mar purpuree e d’oro;
e in veste di zaffiro il ciel ridente
specchiar parea le sue bellezze in loro:
d’Africa i venti fieri e d’oriente
de le fatiche lor prendean ristoro;
e co’ sospiri suoi soavi e lieti
sol Zefiro increspava il lembo a Teti.
12
Al trapassar de la beltá divina
la fortuna d’amor passa e s’asconde.
L’ondeggiar de la placida marina
baciando va l’inargentate sponde.
Ardon d’amore i pesci, e la vicina
spiaggia languisce invidiando a l’onde;
e stanno gli Amoretti ignudi intenti
a la vela, al governo, ai remi, ai venti.
13
Quinci e quindi i delfini a schiere a schiere
fanno la scorta al bel legnetto adorno;
e le ninfe del mar pronte e leggiere
corron danzando e festeggiando intorno.
Vede l’Umbrone ove sboccando ei père
e l’isola del Giglio a mezzogiorno;
e in dirupata e ruinosa sede
monte Argentaro in mezzo a l’onde vede.
14
Quindi s’allarga in su la destra mano,
e lascia il Porto d’Ercole a mancina;
vede Civitavecchia, e di lontano
biancheggiar tutto il lido e la marina.
Giaceva allora il Porto di Traiano
lacero e guasto in misera ruina;
strugge il tempo le torri e i marmi solve
e le machine eccelse in poca polve.