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canto decimo | 177 |
3
E su questo pensier vaneggia in guisa
che di Renoppia giá si finge amante,
e le bellezze sue fra sé divisa
cupidamente, e n’arde in un istante.
Or ne’ begli occhi suoi tutto s’affisa,
or negli atti leggiadri, or nel sembiante;
e come lusingando il va la speme,
or gioisce, or sospira, or brama, or teme.
4
Moglie giovane e bella ei possedea,
ma ogni pensier di lei se n’è fuggito;
e in questo nuovo amor s’interna e bea
tanto, che pargli il ciel toccar col dito.
Cosí la carne giá ch’in bocca avea
su ’l fiume il can d’Esopo un dí schernito
lasciò cader nel fuggitivo umore,
per prender l’ombra sua ch’era maggiore.
5
Tutta la notte andò girando il conte
le piume senza mai prender riposo;
e Febo giá, con l’infiammata fronte
rimovendo dal ciel l’aer ombroso,
colta l’Aurora avea su l’orizonte
ignuda in braccio al suo Titon geloso;
ond’ella rossa in volto, alzando il petto,
con la camicia in man fuggia del letto.
6
Quand’il conte levato anch’egli mosse
colá dove Renoppia era attendata,
cantando a l’improviso a note grosse
sopra una chitariglia discordata:
e giudicando che la lingua fosse
di gran momento a intenerir l’amata,
s’affaticava a trovar voci elette
di quelle, che i toscan chiamano prette.