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canto nono | 175 |
Fu l’incanto ch’ei fé’ con tal riguardo,
che non potea cader Melindo a terra,
se non venia un guerrier tanto codardo
che non trovasse paragone in terra;
e quanto piú l’incontro era gagliardo,
tanto meglio il fanciul vincea la guerra;
come il ferir del fulmine che spezza
con piú furor dov’è maggior durezza.
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L’aste, il cavallo e l’armi onde guernilo
era il fanciul, tutte incantate avea:
e chi traea la spada era spedito,
ché de l’isola a forza uscir dovea.
Il cambiar lancia era miglior partito;
ma non per questo il cavalier vincea,
se non era di forza e di valore
piú d’ogn’altro a Melindo inferiore. —
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Qui tacque il nano: e ’n giubilo fu volto
de gli abbattuti il mal concetto sdegno.
Ma il conte di Culagna increspò il volto
e ritirando il passo e d’ira pregno
trasse la spada, e a quel piccin rivolto
che di timore alcun non facea segno,
— Tu menti, disse, menzogner villano,
e te lo manterrò con questa in mano.
82
Tu vorresti macchiar la mia vittoria;
ma non la macchierai, brutto scrignuto,
ché giá nota per tutto è la mia gloria,
né scusa ha il tuo signor vinto e abbattuto. —
Non volle il nano entrar seco in istoria;
ma fatto a que’ signori umil saluto,
al conte che seguiva il suo costume,
rispose: — Buona notte; — e spense il lume.