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canto nono 171


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     — Serva son io, rispose la donzella,
e troppa per me fora alta mercede:
possiede il mio signor terre e castella,
né inchinerebbe a la mia sorte il piede. —
Renoppia allora, astuta come bella:
— Se questo è, soggiugnea, fategli fede
ch’io mi chiamo ubbligata a quel valore,
che mostra con la lancia in farmi onore.
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     E se ben forse avrei piú caro avuto
ch’in soccorso de’ nostri a vero marte
con l’armi per mio amor fosse venuto,
senza apparecchio alcun di magic’arte;
pur l’affetto gradisco e lo saluto:
e questo gli darete da mia parte. —
E di seno, a quel dir, senza intervallo
si trasse una crocetta di cristallo,
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     dov’era un dente di san Gemignano,
e papa Onorio l’avea benedetta,
e finse porla a la donzella in mano,
che la desse al guerrier de l’isoletta:
ma quella sparve come un sogno vano,
al subito toccar de la crocetta;
e sparvero con lei paggi e scudieri,
e rimasero sol gli scudi veri.
66
     Lesse i nomi Renoppia, e quelli rese
ch’esser trovò de’ cavalieri amici;
gli altri di ritener consiglio prese
come spoglie e trofei de’ suoi nemici.
Intanto il giostrator seguia sue imprese
con gli usati successi ognor felici:
quand’un guerriero ignoto in veste gialla
al ponte capitò su una cavalla.